È una storia recente, quella della grande ristorazione italiana. Con l’eccezione di sparute istituzioni qua e là, che hanno agito da avamposto per la crescita di intere aree geografiche. Al sud è il caso della Caravella, bomboniera in pura ceramica di Vietri appartata in una stradina scoscesa, negli spazi di un palazzo del XII secolo. È stato qui che nel lontano 1959 la signora Anna e il marito Franco Dipino hanno dato abbrivio alla loro Caravella con l’incoscienza degli autodidatti e la passione insolente dei predestinati. L’offerta iniziale non si discostava troppo dalla concorrenza: spaghetti ai frutti di mare, fritture, grigliate, zuppe. Ma la signora Anna era ben consigliata e ancor meglio affiancata grazie a professionisti esperti, fra cui Enrico Cosentino, che proprio qui ha messo a punto con lei la ricetta degli scialatielli, morbidissima e ricchissima pasta fresca che rappresenta l’ultimo classico moderno della cucina italiana.
È stato così che nel 1969 la Michelin ha detto sì. E la stella, dopo avere oltrepassato l’orizzonte qualche anno, è tornata ad appuntarsi stabilmente sopra quella cucina mediterranea, che in Costiera aveva fatto scuola. Tanto che è tuttora la più antica del sud Italia. Nel frattempo la Caravella non era stata solo un ristorante, ma un cenacolo di artisti di fama, come Andy Warhol, che a suo tempo dipinse una delle tre salette, e Salvatore Quasimodo, che ha ribattezzato “Sole nel piatto” il suo soufflé allo sfusato. Oggi la carta è firmata da Antonio Dipino, discepolo di Gualtiero Marchesi. E la transizione non poteva essere più felice: quella della Caravella resta tuttora una cucina intramontabile, capace di esaltare la fragranza dei prodotti locali (il pesce, gli ortaggi, i vini del rinascimento campano) attraverso preparazioni perlopiù espresse, semplici di un’immediatezza mediterranea e popolare.
Nella scia della Caravella si sono moltiplicate anno dopo anno le stelle in Costiera: il Refettorio di Conca dei Marini, Zass, la Serra e la Sponda di Positano, il Rossellinis di Ravello, il Re Maurì nei pressi di Vietri. Tutti esercizi dalla location mozzafiato. Soprattutto sta crescendo il Faro di Capo D’Orso, incantevole struttura che vede ai fornelli Pierfranco Ferrara, per tanti anni a scuola in Francia da giganti come Michel Guérard e Marc Veyrat, che gli hanno trasmesso la scienza della cottura, applicata ai prodotti locali. Una grande maison a tutto tondo, come i gradi panoramici sugli spuntoni di roccia a picco nel blu.
Ma la gastronomia non è solo stelle: a Minori ha la sua pasticceria con ristorazione Sal De Riso, fra i decani dell’arte dolce italiana, ambasciatore nel mondo dei profumi amalfitani.
Mentre giovani chef qua e là stanno diversificando un’offerta, spesso improntata al classicismo: vedi Alessandro Tormolino, che applica in loco gli insegnamenti trasmessi da Gianfranco Vissani, nel ristorante Sensi ad Amalfi.
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