In Liguria si mangia male, anzi no, magari una volta… Sono sempre più numerosi gli chef che si ribellano al cliché della cattiva ristorazione attorno alla riviera dei fiori, impazienti che le guide prendano atto del rinascimento in corso.
Il Ponente sta letteralmente esplodendo: ci sono gli indirizzi consolidati (il ducassiano Sarri a Imperia, l’incantevole Vescovado di Giuseppe Ricchebuono a Noli) e ci sono soprattutto i giovani. Dopo gli ottimi Giorgio Servetto, in forze al 9 di Alassio, dentro una villa ottocentesca che da sola vale il viaggio, ed Enrico Marmo, che sta riportando agli antichi fasti i Balzi Rossi di Ventimiglia, insieme a Pina Beglia, si moltiplicano le bandierine sulla spiaggia.
Quella di Bagni Copacabana, dove il sensibilissimo Massimiliano Torterolo sta riprendendo il filo della sua cucina.
Ma anche la sabbia di Savona, subito dietro la fila degli ombrelloni: qui Claudio e Pervinca Tiranini hanno cooptato il ventinovenne Simone Perata per riaccendere i fornelli della Spurcacciun-a. Il ragazzo del resto ci sa fare: alla scuola dell’obbligo con lo stesso Claudio sono seguiti gli studi magistrali al Taillevent di Alain Solivérès e a Lasarte con Martin Berasategui, a conferma del baricentro francese della tavola ponentina.
Ma c’è anche Diego Pani, appena 24 anni di pura scienza gastronomica: sedersi al rinnovato Marco Polo di Ventimiglia fa capire il debole che Alain Ducasse ha subito provato per lui.
Non va diversamente a Genova, dove il boom turistico infittisce il via vai per i caruggi, fino a formare una processione lungo le scenografie dei Rolli, palazzi nobiliari colorati di confetteria. Uno dei più belli è il Palazzo della Meridiana, dove opera Davide Cannavino, per tanti anni chef patron della Voglia Matta, indirizzo underground di Voltri. Cannavino si è formato con Paolo Lopriore, che l’ha iniziato alla provocazione gustativa, ed è stato lungamente secondo di Luca Collami, quando aveva la stella. Cooptato nella nuova location dal maître Andrea Campisi, ha trascinato dietro di sé la rete dei fornitori (in primis i pescatori delle barche – ma questa volta non è una favola) e di uno stile già formato, fedele al temperamento cittadino nella commistione di motivi alti e bassi, popolareschi e aristocratici, rassicuranti e avanguardisti. Il cuore della cucina continua a battere per il pesce dimenticato piuttosto che per feticci come i gamberi viola o rossi, che si mangiano un po’ ovunque. Per esempio la mostella, di cui Cannavino valorizza il fegato, servito con una miscellanea di verdure di stagione. Ma non si buttano via nemmeno le uova, che confluiscono nella bottarga mista della casa. E in stagione spunta una lepre à la royale di osservanza dogmaticamente francese.
Sarebbe un peccato tuttavia lasciare Genova senza aver provato la cucina di Marco Visciola, che al Marin si appoggia a una cooperativa di pescatori per esaltare il territorio attraverso un asian touch. Per poi fare rotta a Levante, da Serenella Medone al Solito Posto di Bogliasco o Jorg Giubbani all’Osteria Capocotta di Sestri Levante. Tutti posti dove si beve ligure, si beve naturale. Insomma si beve bene.
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