Ristorazione d’avanguardia, al ristorante Lume. Sembra finalmente giunta la grande occasione per Luigi Taglienti, una delle promesse più brillanti della nuova cucina italiana, già stellato alle Antiche Contrade di Cuneo e al Trussardi alla Scala.
Dal mese di giugno opera dietro i merletti di una cucina a intravista, scatola bianca dentro il parallelepipedo immacolato di quella che una volta era la fabbrica Richard Ginori, nella prima periferia di Milano, oggi inglobata dall’urbanizzazione. Ed è un ristorante su misura, di cui ha ideato ogni dettaglio insieme alla proprietà, sotto il segno dell’eleganza e della pulizia, le stesse cifre della sua cucina. Come indica il nome Lume, ne è protagonista un chiarore quasi metafisico, che magnifica l’estetica dei piatti.
La cucina porta il segno della biografia dello chef, nato a Savona in una famiglia di paraprofessioniste della gola: la nonna e la bisnonna, cuoche per casate fiorentine, ma anche la mamma, titolare di uno stabilimento balneare con annesso bar.
I maestri di Luigi Taglienti però sono stati Ezio Santin, per la semplicità delle composizioni; Fulvio Pierangelini, per la naturalezza del gesto; Carlo Cracco per la capacità di coniugare cultura gastronomica di impronta classica, spunti concettuali e sperimentazioni d’avanguardia, non a scapito di un’eleganza inappuntabile. E nel mezzo due grandi francesi, Christian Willer e Christian Sinicropi della Palme d’or di Cannes, cui vanno ricondotti il tasso tecnico e la riflessività dei piatti.
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L’influenza d’oltralpe
Il francesismo è del resto naturale per un ligure di Ponente, abituato a guardare gastronomicamente oltre confine. E dalla Liguria arrivano ispirazioni e prodotti, come la salsa di noci in assenza di pasta o lo zimino, affilato dalla ferrosità della bieta cruda; praticamente tutto il pesce, fra cui i clamorosi crostacei locali, l’extravergine da olive taggiasche, aromi famigliari quali la maggiorana e soprattutto l’ingrediente feticcio di Taglienti: il limone, presente praticamente in ogni piatto con la carica fluo della sua acidità.
Mentre risolutamente francesi sono le basi e i fondi, la centralità nel piatto delle salse, che talvolta si giovano di tecniche di estrazione a freddo mutuate da Yannick Alléno, nonché intere ricette. Per esempio una lepre à la royale filologica, che molti considerano la migliore d’Italia.
Il principio di individuazione della cucina di Luigi Taglienti, inconfondibile nel panorama italiano, è tutto gustativo, nonostante l’estetica epurata delle composizioni, con un’acidità vertiginosa che arriva a fare le veci del sale. A contrastarla sono morbidezze dolci e anche grasse, ancora una volta sontuosamente francesi; ma è nella successione dei piatti, spesso articolata per svolte repentine e totali, che si ristabilisce un senso di equilibrio tanto classico quanto originale.
Vedi acqua, olio, limone e liquirizia, aspersione rituale che dà inizio al pasto con una spiazzante nostalgia di Liguria; la crema di ostrica Gillardeau con grattugiata di Castelmagno o crema di tonda gentile, per esaltare il nocciolato del mollusco; i paradigmatici spaghetti al limone e panna, che declinano un’ispirazione trash in alta cucina; l’avanguardistico sanguinaccio di pesce. Ma ci sono anche le portate più rassicuranti del menu dedicato a Milano, come ossobuco e musetto.
Altrettanto elegante il servizio di sala, diretto da Luca Pedinotti con il sommelier Andrea Petraroli, che amministra una carta dei vini da 400 etichette ad alto tasso di Francia.
Ristorante Lume
Via G. Watt 37 – 20143 Milano
Tel. +39 02 80888624
Mail: [email protected]
http://www.lumemilano.com/
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